Ricorso  della Regione Veneto, in persona del vice presidente pro
tempore  della  giunta  regionale  -  in  assenza  del  presidente -,
autorizzato  mediante  deliberazione  della giunta stessa 14 febbraio
2006,  n. 270,  rappresentata  e  difesa,  come da procura speciale a
margine  del  presente  atto,  dagli  avv.  prof. Mario Bertolissi di
Padova,  Romano  Morra  di  Venezia  e  Andrea  Manzi di Roma, presso
quest'ultimo domiciliata in Roma, via F. Confalonieri n. 5;

    Conto  il  Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  presso  la quale e'
domiciliato  ex  lege,  in  Roma,  via  dei Portoghesi, n. 12, per la
declaratoria,  di  illegittimita' costituzionale per violazione degli
artt. 2,  3,  5, 81, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost., dell'art. 1,
commi  23,  24,  25, 26, 198, 199, 200, 201, 202, 203, 204, 205, 206,
279,  280,  285,  286,  287,  310, 597, 598, 599 e 600 della legge 23
dicembre  2005,  n. 266,  recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)»,
pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005.

                    F a t t o   e  d i r i t t o
    1.  -  La  legge 23 dicembre 2005, n 266 (legge finanziaria 2006)
prevede numerose norme, contenute nei commi 23, 24, 25, 26, 198, 199,
200, 201, 202, 203, 204, 205, 206, 279, 280, 285, 286, 287, 310, 597,
598,  599  e  600  del  suo alquanto complesso e disomogeneo articolo
unico,  che,  ad  avviso  della  Regione  del  Veneto,  si pongono in
contrasto  con  la  Costituzione,  violando  l'autonomia legislativa,
amministrativa e finanziaria regionale.
    In  particolare,  molte  di queste disposizioni non sembrano aver
recepito  gli orientamenti formulati da codesto ecc.mo Collegio a) in
ordine  alla  ricostruzione  dei  rapporti tra legislazione statale e
regionale   definiti  dal  nuovo  art. 117  della  Costituzione,  con
specifico  riferimento  alla materia del «coordinamento della finanza
pubblica», di cui al comma terzo del medesimo articolo, e b)in ordine
altresi'  all'attuazione  e  alla  cogenza  delle disposizioni di cui
all'art. 119 della Costituzione, anch'esso novellato.
    Per  meglio illustrare i profili di illegittimita' costituzionale
riscontrati  nelle  norme  impugnate  si procedera' qui di seguito ad
un'analisi suddivisa per gruppi omogenei di disposizioni.
    A  tale riguardo si potra' rilevare, senza difficolta', il legame
sussistente tra alcune delle disposizioni impugnate, legame di natura
tale  da  determinare  ipotesi  di illegittimita' costituzionale c.d.
conseguenziale,  ai  sensi  dell'art. 27  della  legge 11 marzo 1953,
n. 87.  Infatti,  ci  si  trova in presenza di norme strumentali o di
dettaglio  rispetto a disposizioni illegittime e di norme applicative
di un medesimo principio, che si ritiene contrario alla Costituzione.
    2.  -  Passando, dunque, all'esposizione delle singole questioni,
si puo' ora ricordare come i commi, 23, 24, 25 e 26 dell'art. 1 della
legge finanziaria 2006 impongano limiti all'acquisizione di immobili,
oltre  che per le amministrazioni statali, anche per le regioni e gli
enti   locali,   e   prevedano   un   «monitoraggio»   del  Ministero
dell'economia  e  delle  finanze.  Tali  norme, come si vedra' meglio
successivamente,   vanno  a  ledere  l'autonomia  regionale,  ed,  in
particolare,   l'autonomia   finanziaria   di  spesa  della  regione,
garantita dall'art. 119 Cost.
    Per  evidenziare  i  profili  di  incostituzionalita' delle norme
impugnate  risulta  comunque  essenziale  riportare  il  testo  delle
disposizioni.
    Il  comma  23  stabilisce  che,  «in  considerazione  dei criteri
definitori  degli  obiettivi  di  manovra  strutturale adottati dalla
Commissione  dell'Unione  europea  per  la verifica degli adempimenti
assunti  in  relazione al Patto di stabilita' e crescita, a decorrere
dall'anno  2006 le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma
2,  del  decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n. 165, e successive
modificazioni,   con   eccezione  degli  enti  territoriali,  possono
annualmente  acquisire  immobili  per  un  importo non superiore alla
spesa media per gli immobili acquisiti nel precedente triennio».
    Ai  sensi  del comma 24, invece, «per garantire effettivita' alle
prescrizioni   contenute  nel  programma  di  stabilita'  e  crescita
presentato   all'Unione   europea,  in  attuazione  dei  principi  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  di  cui  all'art.  119 della
Costituzione  e  ai  fini  della  tutela  dell'unita' economica della
Repubblica,  in particolare come principio di equilibrio tra lo stock
patrimoniale  e  i  flussi  dei finanziamenti erariali, nei confronti
degli  enti  territoriali  soggetti  al  patto di stabilita' interno,
delle  regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento
e  Bolzano i trasferimenti erariali a qualsiasi titolo spettanti sono
ridotti  in  misura  pari  alla differenza tra la spesa sostenuta nel
2006  per  l'acquisto da terzi di immobili e la spesa media sostenuta
nel  precedente  quinquennio  per  la stessa finalita'. Nei confronti
delle  regioni  e  delle  province  autonome viene operata un'analoga
riduzione sui trasferimenti statali a qualsiasi titolo spettanti».
    Le disposizioni dei due commi ora citati, ai sensi del successivo
comma  25,  non  si applicano all'acquisto di immobili da destinare a
sedi di ospedali, ospizi, scuole o asili.
    Ancora,  il  comma  26  prevede  un  obbligo  di  trasmissione di
informazioni   su   acquisti  e  vendite  di  immobili  al  Ministero
dell'economia   e   delle   finanze,   regolato   attraverso  decreto
ministeriale.
    Stabilisce, infatti, il relativo testo: «ai fini del monitoraggio
degli  obiettivi  strutturali  di  manovra  concordati  con  l'Unione
europea   nel   quadro   del  patto  di  stabilita'  e  crescita,  le
amministrazioni  di  cui  ai commi 23 e 24 sono tenute a trasmettere,
utilizzando   il   sistema   web   laddove   previsto,  al  Ministero
dell'economia   e  delle  finanze  -  Dipartimento  della  Ragioneria
generale  dello  Stato,  una comunicazione contenente le informazioni
trimestrali  cumulate  degli acquisti e delle vendite di immobili per
esigenze  di  attivita'  istituzionali  o  finalita'  abitative entro
trenta  giorni  dalla  scadenza  del  trimestre  di  riferimento. Con
decreto  del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro
trenta  giorni  dalla data di entrata in vigore della presente legge,
sono stabiliti le modalita' e lo schema della comunicazione di cui al
periodo  precedente.  Tale comunicazione e' inviata anche all'Agenzia
del  territorio  che  procede a verifiche sulla congruita' dei valori
degli  immobili  acquisiti  segnalando gli scostamenti rilevanti agli
organi competenti per le eventuali responsabilita».
    L'impianto  normativo  ora riportato, attraverso la previsione di
riduzioni  ai trasferimenti erariali, mira ad imporre la compressione
della spesa per l'acquisto di immobili.
    In  tal  modo  con  le norme in oggetto il legislatore statale ha
posto  per regioni ed enti locali dei vincoli puntuali ad una singola
voce  di  spesa,  eccedendo  in  tal  modo  dai  limiti della propria
competenza  in  materia di «coordinamento della finanza pubblica», ai
sensi  dell'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  e  violando l'autonomia
finanziaria di spesa di cui all'art. 119 Cost.
    Nel  medesimo senso, codesto ecc.mo Collegio in numerose pronunce
(ad  esempio,  nelle sentenze nn. 376 del 2003, 4, 36 e 390 del 2004,
417  e  449  del  2005)  ha  avuto  modo  di  precisare,  dichiarando
l'illegittimita' costituzionale di alcune norme statali, che lo Stato
puo' legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche
di  bilancio  -  anche  se  con cio' si determina inevitabilmente una
limitazione  indiretta  dell'autonomia di spesa degli enti -, purche'
pero'  cio'  avvenga  attraverso una «disciplina di principio» e «per
ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari».
    Piu'  precisamente, se l'imposizione di vincoli alle politiche di
bilancio  delle  regioni  ed  enti  locali vuole rimanere nell'ambito
della  legittimita'  costituzionale, essa dovrebbe avere ad oggetto o
l'entita'  del  disavanzo  di parte corrente, oppure, ma solo «in via
transitoria  ed  in  vista  degli specifici obiettivi di riequilibrio
della  finanza  pubblica  perseguiti  dal  legislatore  statale»,  la
crescita  della  spesa corrente. Alla legge statale, per tanto, viene
consentito di stabilire unicamente un «limite complessivo, che lascia
agli  enti  stessi  ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i
diversi ambiti e obiettivi di spesa».
    La  previsione da parte della legge statale di limiti all'entita'
di una singola voce di spesa non puo' essere considerata un principio
fondamentale  in  materia  di  armonizzazione  dei bilanci pubblici e
coordinamento  della  finanza  pubblica,  in  quanto pone un precetto
specifico  e  puntuale  sull'entita' della spesa e si risolve percio'
«in   una  indebita  invasione»,  da  parte  dello  Stato,  dell'area
riservata   alle   autonomie   regionali  e  locali,  alle  quali  il
legislatore  nazionale  puo' prescrivere criteri ed obiettivi, quali,
ad esempio, il contenimento della spesa pubblica, «ma non imporre nel
dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli
obiettivi».
    Ne'  basta,  per  ritenere  conforme  a  Costituzione la relativa
disciplina, che la norma invochi finalita' di rispetto degli obblighi
comunitari,  o  che si definisca norma di principio di «coordinamento
della finanza pubblica».
    E'  evidente,  infatti,  che  autoqualificazioni di tal fatta non
esimono il legislatore statale dal rispettare i limiti costituzionali
ad esso imposti a tutela dell'autonomia regionale.
    Lo  Stato, ponendo in essere le norme contenute nei commi 23, 24,
25  e  26 dell'art. 1 della legge finanziaria 2006, ha fatto, invece,
proprio  quello  che  secondo  il  dettato costituzionale gli sarebbe
precluso,  imponendo  «nel  dettaglio»  dei «vincoli puntuali» ad una
tipologia di spesa.
    Va  da  se',  per  altro, che dalla illegittimita' costituzionale
delle  disposizioni  citate, che prevedono limiti all'acquisizione di
immobili  per  regioni  ed  enti  locali,  segue  necessariamente  la
contrarieta'  a  Costituzione di quelle norme, che prevedono forme di
controllo e monitoraggio per il rispetto di detti limiti.
    3.  -  Il  legislatore  statale  non  ha rispettato la competenza
legislativa  e finanziaria regionale nemmeno nel dettare i commi 198,
199, 200, 201, 202, 203, 204, 205 e 206 della legge 23 dicembre 2005,
n. 266.
    Le  disposizioni  in discorso violano la sfera di autonomia delle
regioni,  garantita  dalla  Costituzione,  imponendo  un contenimento
della  spesa  per  personale  attraverso la previsione di un tetto di
spesa indifferenziato, per il triennio 2006-2008, riferito alle spese
del  2004,  diminuito dell'1%, nonche' le modalita' di applicazione e
di monitoraggio di detto tetto di spesa, configurandole come principi
fondamentali  del  «coordinamento  della  finanza pubblica», ai sensi
degli   artt.   117,   terzo  comma,  e  119,  secondo  comma,  della
Costituzione.
    Dispone,  in  particolare,  il  comma 198 che «le amministrazioni
regionali e gli enti locali di cui all'art. 2, commi 1 e 2, del testo
unico  di  cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche'
gli   enti  del  Servizio  sanitario  nazionale,  fermo  restando  il
conseguimento delle economie di cui all'art. 1, commi 98 e 107, della
legge  30 dicembre  2004, n. 311, concorrono alla realizzazione degli
obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire
che  le  spese  di  personale, al lordo degli oneri riflessi a carico
delle  amministrazioni  e  dell'IRAP, non superino per ciascuno degli
anni  2006,  2007  e  2008 il corrispondente ammontare dell'anno 2004
diminuito  dell'1 per cento. A tal fine si considerano anche le spese
per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione
coordinata  e  continuativa, o che presta servizio con altre forme di
rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni».
    Al  comma 199 si precisa che, ai fini dell'applicazione del comma
precedente,  le spese di personale sono considerate al netto: «a) per
l'anno 2004 delle spese per arretrati relativi ad anni precedenti per
rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro; b) per ciascuno
degli  anni  2006,  2007 e 2008 delle spese derivanti dai rinnovi dei
contratti  collettivi nazionali di lavoro intervenuti successivamente
all'anno 2004».
    Per  altro si stabilisce - al successivo comma 200 - che gli enti
destinatari  del  comma  198,  nella  loro  autonomia,  possono  fare
riferimento,  quali  indicazioni  di  principio  per il conseguimento
degli obiettivi di contenimento della spesa di cui al comma 198, alle
misure   della   stessa   legge   finanziaria  2006,  riguardanti  il
contenimento della spesa per la contrattazione integrativa e i limiti
all'utilizzo  di  personale  a  tempo determinato, nonche' alle altre
specifiche misure in materia di personale.
    Con  riferimento  agli enti locali, il comma 201 prevede che «gli
enti locali di cui all'art. 2, commi 1 e 2, del testo unico di cui al
decreto   legislativo   18  agosto  2000,  n. 267,  possono  altresi'
concorrere  al  conseguimento  degli  obiettivi  di  cui al comma 198
attraverso   interventi   diretti   alla   riduzione   dei  costi  di
funzionamento  degli  organi  istituzionali,  da  adottare  ai  sensi
dell'art.  82,  comma  11, del medesimo testo unico di cui al decreto
legislativo  n. 267  del  2000,  e delle altre disposizioni normative
vigenti».
    Ai sensi del comma 202, al finanziamento degli oneri contrattuali
del  biennio  2004-2005, concorrono le economie di spesa di personale
riferibili  all'anno  2005,  come  individuate dall'art. 1, comma 91,
della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
    Per  gli  enti  del  Servizio  sanitario  nazionale,  invece,  si
stabilisce   al   comma   203   che  le  disposizioni  del  comma 198
costituiscono  «strumento  di rafforzamento dell'intesa Stato-regioni
del  23  marzo 2005, attuativa dell'art. 1, comma 173, della legge 30
dicembre 2004, n. 311». Continua la norma stabilendo che «gli effetti
di  tali  disposizioni nonche' di quelle previste per i medesimi enti
del  Servizio  sanitario nazionale dall'art. 1, commi 98 e 107, della
legge  30 dicembre 2004, n. 311, sono valutati nell'ambito del tavolo
tecnico  per  la  verifica degli adempimenti di cui all'art. 12 della
medesima  intesa,  ai fini del concorso da parte dei predetti enti al
rispetto  degli  obblighi  comunitari  ed  alla  realizzazione  degli
obiettivi di finanza pubblica di cui cui all'art. 1, comma 164, della
legge 30 dicembre 2004, n. 311».
    Il  successivo  comma  204  prevede l'applicazione del sistema di
monitoraggio  di  cui  all'art.  1, comma 30, della legge 30 dicembre
2004,  n. 311, ai fini della verifica del rispetto delle prescrizioni
stabilite  dalla  finanziaria  per  il  contenimento  delle  spese di
personale.
    Stabilisce, piu' precisamente, la norma citata che «alla verifica
del rispetto degli adempimenti previsti dal comma 198 si procede, per
le  regioni  e  le  province  autonome  di  Trento  e  di Bolzano, le
province,  i  comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti e le
comunita'  montane  con  popolazione  superiore  a  50.000  abitanti,
attraverso  il  sistema  di monitoraggio di cui all'art. 1, comma 30,
della   legge  30  dicembre  2004,  n. 311,  e  per  gli  altri  enti
destinatari   della   norma   attraverso   apposita   certificazione,
sottoscritta  dall'organo  di  revisione  contabile,  da  inviare  al
Ministero  dell'economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla
chiusura dell'esercizio finanziario di riferimento».
    La   legge  finanziaria  2006  impone,  inoltre,  un  vincolo  di
destinazione    molto    puntuale   per   le   economie   conseguenti
all'applicazione dei nuovi limiti di spesa.
    Stabilisce,  infatti,  il  comma  205  che,  «per le regioni e le
autonomie locali, le economie derivanti dall'attuazione del comma 198
restano acquisite ai bilanci degli enti ai fini del miglioramento dei
relativi saldi».
    Il  comma  206 conclude qualificando le disposizioni dei commi da
198  a  205  «principi  fondamentali  del coordinamento della finanza
pubblica  ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma
della  Costituzione»,  con  una  tecnica normativa analoga, dunque, a
quella che si e' criticata supra con riferimento al comma 24.
    Molte  sono  le  censure che si possono sollevare con riferimento
alle disposizioni che si sono appena riportate.
    In  tutta  evidenza,  siamo di fronte a norme contenenti precetti
puntuali  e specifici, autoapplicative, che non lasciano alla regione
margini  di  disposizione  in  via  autonoma,  nonostante  la materia
rientri nell'ambito del «coordinamento della finanza pubblica» di cui
all'art. 117,  comma  terzo,  Cost., in cui allo Stato spetta solo il
potere  di  dettare i principi fondamentali e non l'intera disciplina
della materia.
    Del  resto,  cdesto  ecc.mo  Collegio, con la sentenza n. 390 del
2004,  ha  gia'  dichiarato  costituzionalmente  illegittime analoghe
norme statali contenute nella legge finanziaria 2003.
    Senza  voler  annoiare il Collegio, che certamente ben conosce la
sua  giurisprudenza,  e  anche  senza  ripetere  quanto e' gia' stato
scritto  nel  presente  ricorso, si ricordera' che nella sentenza ora
citata  sono  state accolte le censure mosse alle disposizioni di cui
al  comma 11 dell'art. 34 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge
finanziaria  2003),  con  le  quali  si stabiliva che le assunzioni a
tempo  indeterminato  delle regioni e degli enti locali, «fatto salvo
il  ricorso  alle  procedure  di  mobilita', devono, comunque, essere
contenute,  fatta  eccezione  per  il  personale  infermieristico del
Servizio  sanitario  nazionale, entro percentuali non superiori al 50
per  cento  delle  cessazioni  dal  servizio  verificatesi  nel corso
dell'anno 2002».
    Nella  pronuncia n. 390 del 2004, prima ricordata, codesto ecc.mo
Collegio  ha osservato che la norma della legge finanziaria 2003 «non
si  limita  a  fissare  un  principio  di coordinamento della finanza
pubblica, ma pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della
copertura  delle  vacanze  verificatesi  nel 2002, imponendo che tale
copertura  non  sia  superiore al 50 per cento: precetto che, proprio
perche'  specifico e puntuale e per il suo oggetto, si risolve in una
indebita   invasione,   da   parte  della  legge  statale,  dell'area
(organizzazione  della  propria  struttura  amministrativa) riservata
alle  autonomie  regionali  e  degli enti locali, alle quali la legge
statale  puo'  prescrivere  criteri  (...)  ed obiettivi (ad esempio,
contenimento  della  spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli
strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi».
    La  norma  di cui al comma 198 della legge finanziaria 2006, e le
altre  successive,  che  la  integrano  e  specificano, contenute nei
successivi   commi,  risultano  per  altro  chiaramente  irrazionali,
prevedendo  una  riduzione  della spesa di personale indifferenziata,
che  finisce  per paralizzare l'attivita' e il bilancio proprio degli
enti piu' virtuosi.
    Si  noti  che la Regione del Veneto ha gia' adottato disposizioni
di  contenimento della spesa in questo settore, quali, ad esempio, la
DGR  Veneto n. 3144 del 18 ottobre 2005, con la quale ha proceduto al
blocco  delle  assunzioni di personale presso le Aziende sanitarie al
fine di garantire un equilibrio economico e finanziario nel settore.
    Una  previsione  rigida  di ulteriore riduzione della spesa, come
quella  contenuta  nelle norme impugnate, non potrebbe che portare ad
una inammissibile compressione del livello qualitativo e quantitativo
delle  prestazioni  sanitarie,  che  la regione, per i poteri ad essa
conferiti in materia dall'art. 117 e dall'art. 118 Cost., e' chiamata
a   garantire   ai   cittadini   in   attuazione  dell'art. 32  della
Costituzione.
    4.  -  Quanto  alle  norme  contenute  nei  commi 279 e 280, esse
prevedono  si'  il  concorso dello Stato al ripiano dei disavanzi del
Servizio  sanitario  nazionale, ma subordinano l'accesso all'adozione
da  parte  delle  regioni  di  provvedimenti di copertura del residuo
disavanzo  e  all'intesa  sullo schema del Piano sanitario nazionale,
nonche'  alla  stipula  di  un'intesa  tra  Stato  e  regioni  per la
realizzazione da parte di queste ultime degli interventi previsti dal
Piano nazionale di contenimento dei tempi di attesa.
    Prevede,   infatti,   il   comma  279  dell'art.  1  della  legge
finanziaria  2006  che  «lo  Stato,  in  deroga  a  quanto  stabilito
dall'art.  4,  comma  3, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347,
convertito,  con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405,
concorre  al  ripiano  dei disavanzi del servizio sanitario nazionale
per  gli  anni 2002, 2003 e 2004. A tal fine e' autorizzata, a titolo
di  regolazione  debitoria,  la  spesa  di  2.000 milioni di euro per
l'anno  2006.  L'erogazione del suddetto importo da parte dello Stato
e'   subordinata   all'adozione,   da   parte   delle   regioni,  dei
provvedimenti  di copertura del residuo disavanzo posto a loro carico
per i medesimi anni».
    Il successivo comma 280 individua in modo molto puntuale le altre
condizioni  per il concorso dello Stato alla copertura del disavanzo:
«l'accesso al concorso di cui al comma 279, da ripartire tra tutte le
regioni sulla base del numero dei residenti, con decreto del Ministro
della  salute  di  concerto  con  il  Ministro  dell'economia e delle
finanze, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato,  le  regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, e'
subordinato  all'espressione,  entro il termine del 31 marzo 2006, da
parte  della  Conferenza  unificata  di  cui  all'art.  8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, dell'intesa sullo schema di Piano
sanitario  nazionale  2006-2008,  nonche', entro il medesimo termine,
alla stipula di una intesa tra Stato e regioni, ai sensi dell'art. 8,
comma   6,  della  legge  5  giugno  2003,  n. 131,  che  preveda  la
realizzazione  da  parte  delle regioni degli interventi previsti dal
Piano nazionale di contenimento dei tempi di attesa, da allegare alla
medesima   intesa   e  che  contempli:  a)  l'elenco  di  prestazioni
diagnostiche,    terapeutiche    e    riabilitative   di   assistenza
specialistica  ambulatoriale  e  di assistenza ospedaliera, di cui al
decreto  del  Presidente  del  Consiglio dei ministri del 29 novembre
2001,  pubblicato  nel  supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale
n. 33  dell'8 febbraio 2002, e successive modificazioni, per le quali
sono fissati nel termine di novanta giorni dalla stipula dell'intesa,
nel rispetto della normativa regionale in materia, i tempi massimi di
attesa  da parte delle singole regioni; b) la previsione che, in caso
di  mancata  fissazione da parte delle regioni dei tempi di attesa di
cui   alla   lettera  a),  nelle  regioni  interessate  si  applicano
direttamente  i parametri temporali determinati, entro novanta giorni
dalla  stipula  dell'intesa,  in sede di fissazione degli standard di
cui  all'art.  1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311; c)
fermo  restando il principio di libera scelta da parte del cittadino,
il  recepimento,  da  parte  delle unita' sanitarie locali, dei tempi
massimi  di  attesa,  in  attuazione  della  normativa  regionale  in
materia, nonche' in coerenza con i parametri temporali determinati in
sede di fissazione degli standard di cui all'art. 1, comma 169, della
legge  30 dicembre 2004, n. 311, per le prestazioni di cui all'elenco
previsto   dalla   lettera  a),  con  l'indicazione  delle  strutture
pubbliche  e  private  accreditate  presso  le  quali tali tempi sono
assicurati  nonche'  delle misure previste in caso di superamento dei
tempi  stabiliti, senza oneri a carico degli assistiti, se non quelli
dovuti come partecipazione alla spesa in base alla normativa vigente;
d) la determinazione della quota minima delle risorse di cui all'art.
1,  comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, da vincolare alla
realizzazione  di  specifici progetti regionali ai sensi dell'art. 1,
comma   34-bis,   della   medesima   legge,   per   il  perseguimento
dell'obiettivo  del  Piano  nazionale  di  contenimento  dei tempi di
attesa,  ivi  compresa  la  realizzazione  da parte delle regioni del
Centro unico di prenotazione (CUP), che opera in collegamento con gli
ambulatori  dei  medici  di  medicina  generale, i pediatri di libera
scelta  e  le  altre  strutture  del  territorio,  utilizzando in via
prioritaria  i  medici  di  medicina generale ed i pediatri di libera
scelta;  e)  l'attivazione  del  Nuovo  sistema informativo sanitario
(NSIS)  di uno specifico flusso informativo per il monitoraggio delle
liste  di  attesa,  che  costituisca  obbligo  informativo  ai  sensi
dell'art.  3, comma 6, della citata intesa Stato-regioni del 23 marzo
2005;  f)  la  previsione  che,  a certificare la realizzazione degli
interventi  in  attuazione  del  Piano  nazionale di contenimento dei
tempi  di  attesa,  provveda  il  Comitato permanente per la verifica
dell'erogazione  dei  livelli  essenziali di assistenza (LEA), di cui
all'art. 9 della citata intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005».
    Le   norme   in   discorso   appaiono   viziate   da   intrinseca
irragionevolezza,  in  quanto subordinano il ripiano del disavanzo da
parte  dello  Stato  ad  attivita'  delle regioni, che non presentano
profili di connessione con il ripianamento stesso.
    I   profili   di  intrinseca  irragionevolezza  evidenziati,  che
comportano   la   violazione   dell'art. 3   e   dell'art. 97   della
Costituzione,   sono  strettamente  pertinenti  al  mancato  rispetto
dell'autonomia    regionale,    sotto    il    profilo   legislativo,
amministrativo  e finanziario, di cui agli artt. 117, 118 e 119 della
Costituzione.
    Si  pensi,  se non altro, come si imponga alle regioni la stipula
di  un'intesa  con  lo  Stato,  che prevede la realizzazione da parte
delle  regioni  stesse degli interventi stabiliti dal Piano nazionale
di contenimento dei tempi di attesa, da allegare all'intesa, e il cui
contenuto viene puntualmente predeterminato dal comma 280 dell'art. 1
della  legge finanziaria con i lunghi elenchi declinati nelle lettere
a), b), c), d), e) e f).
    Un  tal  genere  di  disposizioni  tende  a  vincolare  le scelte
regionali  con  norme  precettive  di  dettaglio,  al cui rispetto la
regione  e'  tenuta  se  non vuole rinunciare al concorso dello Stato
alla copertura del disavanzo.
    Concorso  che non e' una graziosa concessione statale, ma risulta
essenziale  in considerazione della scarsita' delle risorse di cui la
regione  puo'  disporre  per  adempiere  ai compiti che le sono stati
attribuiti  in  materia di tutela della salute e sulle quali non puo'
concretamente  incidere, considerata la persistente impossibilita' di
piena  attuazione  dell'autonomia finanziaria di entrata, pur sancita
dall'art. 119  Cost.,  e  di cui si e' piu' volte rammaricato codesto
ecc.mo Collegio (ex plurimis, sent. 370 del 2003).
    5.  - Anche i commi 285, 286 e 287 appaiono lesivi dell'autonomia
legislativa, amministrativa e finanziaria regionale.
    Il  comma  285  prevede una destinazione vincolata da parte delle
regioni delle risorse residue derivanti dal completamento del proprio
programma di investimenti di edilizia sanitaria.
    I  commi  286  e  287  affidano  all'Associazione «Alleanza degli
ospedali  italiani  nel mondo» la promozione e il coordinamento delle
procedure  di donazione di apparecchiature e materiali dismessi dalle
strutture sanitarie a paesi in via di sviluppo o in transizione.
    Vediamo qui di seguito il testo dei commi ora citati.
    Il  comma  285  stabilisce  che  «nel  completamento  del proprio
programma  di  investimenti in attuazione dell'art. 20 della legge 11
marzo  1988,  n. 67, e successive modificazioni, le regioni destinano
le  risorse  residue finalizzate alla costruzione, ristrutturazione e
adeguamento  di  presidi ospedalieri ad interventi relativi a presidi
comprensivi  di  degenze  per  acuti con un numero di posti letto non
inferiore  a  250  ovvero a presidi per lungodegenza e riabilitazione
con  un  numero  di  posti  letto  non  inferiore a 120, nonche' agli
interventi  necessari  al rispetto dei requisiti minimi strutturali e
tecnologici dei presidi attivi avviati alla data del 31 dicembre 2005
stabiliti  dall'atto  di  indirizzo e coordinamento di cui al decreto
del  Presidente  della  Repubblica  14  gennaio  1997, pubblicato nel
supplemento  ordinario  alla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio
1997».
    Ai  sensi  del  comma  286, «la cessione a titolo di donazione di
apparecchiature  e  altri  materiali  dismessi  da  aziende sanitarie
locali,  aziende ospedaliere, Istituti di ricovero e cura a carattere
scientifico  di  diritto  pubblico  e  altre  organizzazioni similari
nazionali  a  beneficio delle strutture sanitarie nei Paesi in via di
sviluppo  o  in  transizione  e'  promossa e coordinata dall'Alleanza
degli  ospedali italiani nel mondo, di seguito denominata "Alleanza".
Gli  enti  del  Servizio sanitario nazionale comunicano all'Alleanza,
secondo  modalita' con essa preventivamente definite, le informazioni
relative   alla   disponibilita'   delle  attrezzature  sanitarie  in
questione allegando il parere favorevole della regione interessata».
    Prosegue  il  comma 287 stabilendo che «l'Alleanza provvede sulla
base  delle informazioni acquisite, a promuovere i necessari contatti
per facilitare le donazioni nonche' a tenere un inventario aggiornato
delle  attrezzature  disponibili. L'Alleanza provvede, altresi', alla
produzione di un rapporto biennale sulle attivita' svolte indirizzate
al  Ministero  della  salute  e  alla Conferenza dei presidenti delle
regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano».
    La  norma  di  cui  al  comma 285, nel prevedere una destinazione
vincolata  da parte delle regioni delle risorse residue derivanti dal
completamento  del  proprio  programma  di  investimenti  di edilizia
sanitaria,  comprime  in  modo  evidente  l'autonomia  di  spesa e le
funzioni  di  programmazione di cui e' titolare la regione, ponendosi
con cio' in contrasto con gli artt. 117 e 119 della Costituzione.
    A  questo  proposito,  codesto  ecc.mo  Collegio ha avuto modo di
evidenziare  come non possano essere imposti alle regioni, in materie
che   non   siano   di   competenza  esclusiva  statale,  vincoli  di
destinazione ai finanziamenti.
    Nella   sua  giurisprudenza  relativa  ai  fondi  a  destinazione
vincolata (tra le altre, sent. nn. 370 del 2003, 16, 37, 49 e 320 del
2004,  51,  77,  107,  160  e  222  del  2005), la Corte, infatti, ha
precisato  essere «evidente che la attuazione dell'art. 119 Cost. sia
urgente  al  fine  di concretizzare davvero quanto previsto nel nuovo
Titolo  V  della  Costituzione,  poiche'  altrimenti  si  verrebbe  a
contraddire  il diverso riparto di competenze configurato dalle nuove
disposizioni» evidenziando, inoltre, che «la permanenza o addirittura
la  istituzione  di forme di finanziamento delle regioni e degli enti
locali  contraddittorie  con  l'art. 119  della Costituzione espone a
rischi  di  cattiva  funzionalita'  o addirittura di blocco di interi
ambiti settoriali».
    Nel nuovo sistema, per il finanziamento delle normali funzioni di
regioni  ed  enti  locali,  «lo  Stato  puo' erogare solo fondi senza
vincoli  specifici  di  destinazione, in particolare tramite il fondo
perequativo  di  cui  all'art. 119, terzo comma, della Costituzione»:
per  tanto,  in materie di legislazione concorrente o residuale delle
regioni,  «e'  contraria  alla  disciplina  costituzionale vigente la
configurazione  di un fondo settoriale di finanziamento gestito dallo
Stato».
    In altre parole, non sono consentiti finanziamenti a destinazione
vincolata,  in materie e funzioni la cui disciplina spetti alla legge
regionale,  come nel caso delle norme oggi censurate, poiche' ove non
fossero   osservati  tali  limiti,  si  verrebbe  a  realizzare  «uno
strumento   indiretto,   ma   pervasivo   di  ingerenza  dello  Stato
nell'esercizio  delle  funzioni  delle  regioni  e degli enti locali,
nonche'  di  sovrapposizione  di  politiche  e di indirizzi governati
centralmente  a  quelli  legittimamente  decisi  dalle  regioni negli
ambiti  materiali  di  propria  competenza  (cfr., in particolare, la
sent. n. 16 del 2004).
    Passando   poi   a   rilevare   i   profili   di   illegittimita'
costituzionale  delle  norme  contenute  nei commi 286 e 287, si puo'
osservare  come  nell'attribuire funzioni e competenze alla «Alleanza
degli   ospedali   italiani   nel   mondo»   per   le   donazioni  di
apparecchiature  e  materiali  dismessi  dalle strutture sanitarie in
favore  dei  paesi  in via di sviluppo e in transizione, esse violino
l'autonomia   patrimoniale  riconosciuta  e  garantita  alle  regioni
dall'art. 119 della Costituzione.
    Inoltre,  tale previsione viene ad incidere sulle iniziative gia'
intraprese dalla regione per la donazione di apparecchiature dismesse
a   Paesi   in   analoghe   difficolta'  economiche  e  di  sviluppo,
concentrando  in  un unico organismo centrale l'esercizio di funzioni
che  spetterebbero alle regioni, ai sensi degli artt. 117 e 118 della
Costituzione.
    I  commi  in  discorso  incidono,  per  altro,  sull'esercizio di
attivita'  che  attengono ai «rapporti internazionali delle regioni»,
materia   che,   come   dispone   l'art. 117,   terzo   comma,  della
Costituzione,   rientra   nella   potesta'   legislativa  concorrente
regionale.
    Nell'ambito  di  tale  materia, dunque, lo Stato deve limitarsi a
fissare  solo una normativa di principio, senza porre una dettagliata
disciplina,  quale  quella  contenuta nei commi 286 e 287 della legge
finanziaria  2006, con cui si introducono organismi, si attribuiscono
specifiche  competenze e si disciplinano attivita', spogliando in tal
modo di ogni potere la regione e rendendo impossibile la prosecuzione
di ogni attivita' intrapresa da quest'ultima e il rispetto di impegni
gia' assunti.
    6.  - Viola l'art. 119 della Costituzione, introducendo norme che
incidono  sull'autonomia di spesa regionale, anche il comma 310 della
legge 23 dicembre 2005, n. 266.
    Stabilisce   la   disposizione   ora  citata  che,  «al  fine  di
razionalizzare  l'utilizzazione  delle  risorse  per l'attuazione del
programma  di  edilizia  sanitaria  di cui all'art. 20 della legge 11
marzo  1988,  n. 67,  e  successive  modificazioni,  gli  accordi  di
programma  sottoscritti  dalle  regioni  e dalle province autonome di
Trento e di Bolzano, ai sensi dell'art. 5-bis del decreto legislativo
30  dicembre  1992, n. 502, e successive modificazioni, e dell'art. 2
della  legge  23 dicembre  1996,  n. 662, decorsi diciotto mesi dalla
sottoscrizione,   si  intendono  risolti,  limitatamente  alla  parte
relativa  agli  interventi  per  i  quali  la  relativa  richiesta di
ammissione al finanziamento non risulti presentata al Ministero della
salute  entro  tale  periodo temporale, con la conseguente revoca dei
corrispondenti impegni di spesa.
    La  presente  disposizione  si  applica  anche  alla  parte degli
accordi  di programma relativa agli interventi per i quali la domanda
di  ammissione  al  finanziamento risulti presentata, ma valutata non
ammissibile   al   finanziamento   entro   ventiquattro   mesi  dalla
sottoscrizione  degli  accordi  medesimi,  nonche'  alla  parte degli
accordi  relativa  agli  interventi  ammessi  al  finanziamento per i
quali,  entro  nove  mesi dalla relativa comunicazione alla regione o
provincia   autonoma,   gli  enti  attuatori  non  abbiano  proceduto
all'aggiudicazione   dei   lavori,   salvo  proroga  autorizzata  dal
Ministero  della salute. Per gli accordi aventi sviluppo pluriennale,
i termini di cui al presente comma si intendono decorrenti dalla data
di  inizio  dell'annualita'  di  riferimento  prevista  dagli accordi
medesimi per i singoli interventi».
    La  norma, nel prevedere nuove cause di risoluzione degli accordi
di  programma  sottoscritti  dalle  regioni nell'ambito dei programmi
regionali   per   la   realizzazione  degli  interventi  di  edilizia
sanitaria, incide retroattivamente, in modo irragionevole, su accordi
conclusi,   comportando   variazioni   nel  bilancio  regionale,  che
vulnerano    l'autonomia   finanziaria   della   regione,   garantita
dall'art. 119 Cost.
    Per  affermare  la  legittimita' della disposizione impugnata non
giova   il   richiamo   del  legislatore  statale  alle  esigenze  di
razionalizzazione  dell'utilizzo  delle  risorse per l'attuazione del
programma di edilizia sanitaria, poiche' la loro semplice allegazione
non  e'  idonea  a  spogliare  la  regione dei suoi poteri in materia
edilizia e di tutela della salute, ne' puo' vanificare le garanzie di
cui  la  regione stessa gode affinche' siano rispettati gli ambiti di
autonomia di cui e' titolare.
    7. - Infine, i commi 597, 598, 599 e 600 dettano disposizioni che
ledono  la  competenza  legislativa e amministrativa della regione in
materia di edilizia residenziale pubblica.
    Dispone  il  comma  597  che, «ai fini della valorizzazione degli
immobili  costituenti  il  patrimonio  degli Istituti autonomi per le
case  popolari,  comunque  denominati,  entro  sei mesi dalla data di
entrata  in  vigore  della  presente  legge, con apposito decreto del
Presidente  del  Consiglio dei ministri sono semplificate le norme in
materia  di  alienazione  degli immobili di proprieta' degli Istituti
medesimi.  Il  decreto,  da  emanare  previo  accordo  tra  Governo e
regioni,  e'  predisposto  sulla base della proposta dei Ministri del
lavoro  e  delle  politiche  sociali,  dell'economia e delle finanze,
delle  infrastrutture  e  dei  trasporti  da  presentare  in  sede di
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano».
    Ai  sensi  del  comma  598,  «i principi fissati dall'accordo tra
Governo  e  regioni e regolati dal decreto di cui al comma 597 devono
consentire  che: a) il prezzo di vendita delle unita' immobiliari sia
determinato  in  proporzione  al  canone  dovuto e computato ai sensi
delle  vigenti leggi regionali, ovvero, laddove non ancora approvate,
ai  sensi  della legge 8 agosto 1977, n. 513; b) per le unita' ad uso
residenziale sia riconosciuto il diritto all'esercizio del diritto di
opzione   all'acquisto   per  l'assegnatario  unitamente  al  proprio
coniuge,  qualora  risulti  in  regime di comunione dei beni; che, in
caso di rinunzia da parte dell'assegnatario, subentrino, con facolta'
di  rinunzia,  nel  diritto  all'acquisto, nell'ordine: il coniuge in
regime  di separazione dei beni, il convivente more uxorio purche' la
convivenza  duri  da  almeno cinque anni, i figli conviventi, i figli
non  conviventi; c) i proventi delle alienazioni siano destinati alla
realizzazione di nuovi alloggi, al contenimento degli oneri dei mutui
sottoscritti  da  giovani  coppie  per l'acquisto della prima casa, a
promuovere  il  recupero sociale dei quartieri degradati e per azioni
in favore di famiglie in particolare stato di bisogno».
    Ancora, il comma 599 stabilisce che «agli immobili degli Istituti
proprietari,  che  ne  facciano  richiesta  attraverso le regioni, si
applicano  le  disposizioni  previste  dal decreto-legge 25 settembre
2001,  n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre
2001, n. 410, e successive modificazioni».
    Il  comma  600,  infine,  prevede  che  «al fine di consentire la
corretta  e  puntuale  realizzazione  dei  programmi  di  dismissione
immobiliare,  gli  enti e gli Istituti proprietari possono affidare a
societa'  di  comprovata  professionalita'  ed  esperienza in materia
immobiliare  e  con  specifiche competenze nell'edilizia residenziale
pubblica,  la gestione delle attivita' necessarie al censimento, alla
regolarizzazione ed alla vendita dei singoli beni immobili».
    I  commi  della  legge  finanziaria in oggetto prevedono, dunque,
l'emanazione  di  un  d.P.C.m.,  che,  se deve essere preceduto da un
accodo   tra  Governo  e  regioni,  andra'  comunque  a  dettare  una
disciplina  per semplificare le norme in materia di alienazione degli
immobili di proprieta' degli IACP, disciplina che rientra nell'ambito
della  materia  -  l'edilizia  residenziale  pubblica  -  di potesta'
legislativa residuale della regione.
    Ne  consegue, senza dubbio, l'illegittimita' costituzionale delle
norme  in  discorso per contrasto con l'art. 117, quarto comma, della
Costituzione.
    Non  solo,  il  comma  598 prescrive, in modo molto dettagliato e
specifico,  le finalita' perseguite dai principi fissati dall'accordo
tra Governo e regioni: cosi' vengono disciplinati la proporzionalita'
tra  canone  e prezzo di vendita (lettera a), l'esercizio del diritto
di  opzione  all'acquisto  per  l'assegnatario  e  ad altri soggetti,
puntualmente  individuati  (lettera b), la destinazione specifica dei
proventi dell'alienazione.
    In tal modo, evidentemente, il contenuto dell'accordo tra Governo
e regioni viene predeterminato dal legislatore statale, che individua
non  solo  le  scelte  politiche di fondo, gli indirizzi, ma anche la
disciplina piu' specifica, di alienazione e reinvestimento.
    La  normativa  in discorso viene, per altro, ad incidere non solo
sulla  sfera  riconosciuta  alla potesta' legislativa regionale dalla
nostra  Costituzione,  ma  anche  sulla  sua  autonomia finanziaria e
patrimoniale,   ponendo  vincoli  alla  disposizione  del  patrimonio
immobiliare e all'utilizzo dei proventi che derivano dall'alienazione
dello  stesso,  in  violazione, ancora una volta, dell'art. 119 della
Costituzione.
    Da  quanto  si  e' esposto nel presente ricorso ritiene la difesa
della  Regione  del  Veneto  che  risulti  con  chiarezza  il mancato
rispetto  del dettato costituzionale da parte di tutte le norme della
legge 23 dicembre 2005, n. 266, impugnate.